Pinacoteca D'Errico

COMUNICATO STAMPA

Si ricorderà di certo il giudizio che tal Giorgio Vasari, correva l’anno di grazia 1568, dava dei gentiluomini napoletani che “ poco curiosi delle eccellenti cose di pittura più conto tenevano di un cavallo che saltasse, che di chi facesse con le mani figure dipinte parer vive”. I gentiluomini citati erano, all’epoca, i baroni del Regno che detenevano l’80% del territorio (e degli uomini) di questa nostra regione. Ora mentre l’accennata situazione economica e sociale si protrarrà nel Regno di Napoli sino agli inizi dell’Ottocento, quella culturale, cavalli che saltano compresi, qui sembra resistere ancora oggi. Ecco il problema che le sottopongo è appunto questo: i quadrupedi. Fuor di metafora è tuttavia incontestabile che la storia dell’arte figurativa in Basilicata, almeno per il periodo che va dal XV al XVIII secolo, si caratterizza, eccezion fatta per la raccolta oggetto di questo mio intervento, per la totale mancanza della cosiddetta “ arte laica o profana “. Ciò è da imputare sostanzialmente non solo al riferito giudizio del Vasari ma anche a quel fenomeno che gli storici hanno definito assenteismo baronale . Quei gentiluomini non risiedevano in Basilicata, dove era la fonte della loro ricchezza e potere ma a Napoli. Lì tuttavia non mancarono di ornare i loro palazzi di splendidi capolavori. Il risultato, per la nostra regione, fu la totale mancanza di una committenza d’arte laica. Per secoli, qui, gli unici a richiedere ed acquistare opere d’arte furono le chiese, i conventi, gli ordini religiosi, i sacri capitoli, le confraternite. Nei rari casi di committenti laici, le opere ordinate erano comunque finalizzate all’ornamento delle chiese. La particolare natura di questa committenza portò all’esclusione di ogni forma d’arte profana; per tre secoli in Basilicata le uniche forme d’arte circolanti furono esclusivamente di natura ed ispirazione religiosa. Accennavo innanzi ad una sola e lodevole eccezione: la raccolta d’arte costituita della Biblioteca e Pinacoteca Camillo D’Errico di Palazzo San Gervasio. Duecentonovantotto tele del XVI e XVIII secolo, cinquecento stampe dello stesso periodo e cinquemila volumi. Tra questi ben undici cinquecentine e alcune pubblicazioni in collane che rarissime biblioteche in Italia possono vantare. Sulla più grande raccolta d’arte privata del Meridione, seconda, per i pittori di scuola napoletana, al solo Museo di Capodimonte di Napoli, ha pesato e pesa uno strano destino. O meglio un destino tipicamente lucano: è più conosciuta ed apprezzata in Italia ed all’estero di quanto non lo sia nella nostra stessa regione, di più, nella stessa provincia di appartenenza. Vero è che su questa raccolta hanno pesato le ben note vicende: il 1939, a causa della legge Bottai, veniva trasferita dalla sua sede testamentaria, Palazzo San Gervasio, a Matera; il 1996 dopo sessant’anni di inutili promesse e questue, tutte politiche, l’Ente Morale proprietario della raccolta, dopo avere diffidato, stragiudizialmente, gli allora prefetti di Potenza e Matera, il presidente del Tribunale di Potenza, il questore di Matera, nei cui uffici di rappresentanza erano finiti i quadri della collezione, iniziava un lungo contenzioso giudiziario con lo stesso Ministero dei Beni Culturali. Contenzioso chiuso il 2006 con il pieno riconoscimento delle rivendicazioni dell’Ente Morale. Da quell’anno, i rapporti con la Sovrintendenza ai Beni Storici ed Artistici di Matera sono sembrati avviarsi, dopo i burrascosi trascorsi, ad una più proficua collaborazione. Prova ne è il fatto che il Consiglio di Amministrazione dell’Ente Morale ha autorizzato l’esposizione a Matera nel Museo di Palazzo Lanfranchi di una parte delle sue opere. Non solo, sempre lo stesso C.d.A. ha autorizzato il prestito temporaneo di parte delle opere della raccolta ai più prestigiosi musei nazionali ed internazionali: Napoli, Aosta, Roma, Potenza e anche Barcellona, Stoccarda, Leningrado, Londra. Ancora recentemente, lo scorso mese di ottobre, è stato concesso il prestito di alcuni quadri a museo di Saragozza dove è in allestimento una mostra su Francisco Goya. L’interesse, che tante strutture museali hanno mostrato e mostrano per i dipinti di questa collezione testimonia in modo terzo, oggettivo, che il suo valore artistico travalica di gran lunga i confini nazionali. Da questo punto di vista ed in prospettiva futura la Pinacoteca Camillo D’Errico di Palazzo San Gervasio, si porrebbe come la porta aperta della Basilicata sul mondo dell’arte. Dalle porte, è ovvio, si esce e si entra. Per essere più chiaro, in termini meno simbolici quindi, ho semplicemente accennato alla possibilità di inserire questa regione nel circuito dei – prestiti d’arte – con altri musei nazionali ed europei, grazie all’interesse che suscita la raccolta D’Errico. Purtroppo, opere di autori come Francesco Solimena, Andrea Vaccaro, Massimo Stanzione, Gaspare Traversi, Giacomo Del Po, Abraham Brueghel, Giuseppe Recco, Baldassarre De Caro, Dirk van Baburen, Salvator Rosa, Francesco Guarino, Jusepe de Ribera (lo Spagnoletto), Orazio Gentileschi, … , che farebbero, da sole, la felicità di qualsiasi museo al mondo non sembrano interessare granché né la Regione Basilicata né la Provincia di Potenza. Il comportamento di queste nostre istituzioni appare dettato non dalla conoscenza di questo giacimento d’arte ma da un vero e proprio choc percettivo che le porta a negarne la stessa esistenza. Un’ultima riprova? E’ per chi la voglia vedere sotto gli occhi di tutti. E’ stato ultimamente pubblicato con il patrocinio della Regione, Assessorato alle Attività Produttive, il “Codice d’Estetica”, un tentativo per cercare di dare alle produzioni lucane un marchio d’arte. Lo sforzo concettuale, pur meritevole, porta comunque chiaramente impresso il marchio di quella rimozione, operante ancora oggi a distanza di secoli e dettata, come notava Giorgio Vasari, citato all’inizio di questa mia, dall’amore per i cavalli, che saltano. Infatti, non casualmente, nella pubblicazione è omesso qualsiasi riferimento all’unica raccolta d’arte: la Biblioteca e Pinacoteca Camillo D’Errico, che si trova in questa regione. Particolare non secondario, all’unica collezione i cui quadri sono richiesti ed apprezzati dai musei non solo italiani ma di tutta l’Europa. La mia ipotesi, che chiama in causa i nobili quadrupedi è certamente meno pesante di quella, più cattiva, d’altri che vedono dietro questa ostinata censura una precisa volontà politica. Questi ultimi infatti fanno notare che il 1999, recependo il Decreto Legislativo 112/98, questa Regione emanò la Legge 7/99. L’articolo 87 della stessa prevede, al comma g, la valorizzazione dei Beni Culturali e la promozione di attività culturali di rilevanza almeno regionali. Nella fattispecie sarebbe quindi rientrato il finanziamento per la valorizzazione della raccolta d’arte di cui si sta parlando. Il condizionale è d’obbligo visto che il relativo capitolo di spesa pure annunciato dal dispositivo citato non è mai stato istituito. Una banale dimenticanza in una Regione e Provincia che hanno fatto e fanno ingenti investimenti per la cultura ed il turismo? Peccato! Peccato che oggi resterebbe imperdonabile alla luce di quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 e dai successivi decreti legislativi n.156/2006 e 157/2006, che estendono le facoltà di intervento regionale sia in merito alla valorizzazione che alla gestione delle raccolte artistiche. Ogni ulteriore inerzia da parte degli enti richiamati in causa, apparirebbe oggi, più eloquente di un ingiustificato rifiuto e darebbe fondamento alle ipotesi dei malpensanti sopra accennati. Che fare allora. Due e complementari, mi paiono le strade percorribili; la prima vede l’Ente Morale Biblioteca e Pinacoteca C. D’Errico, ente proprietario, provocare una Conferenza di Servizio, con la Regione Basilicata e gli altri enti interessati, che porti ad un Protocollo d’Intesa che vada a realizzare quanto previsto dai decreti legislativi sopra richiamati, la seconda passa per una rivisitazione di quell’articolo 87 della L.R. n. 7/99, alla luce delle successive modifiche apportate non solo dal Codice su Beni Culturali (D.Lgs. 42/2004) ma anche dei successivi decreti legislativi, il 156 e 157, già richiamati. Attività questa, che mi vedrà direttamente interessato nei giorni a venire.

Sul punto di chiudere mi è giunta notizia di un riacceso interesse, al momento della Prefettura di Matera, ma c’è da giurarci se ne aggiungeranno presto altri, per le opere della raccolta in parola. La stessa chiede, d’accordo con la Soprintendenza al Patrimonio Storico e Artistico di quella città, di esporre opere della raccolta, scelte dalla Soprintendenza, nei propri locali di rappresentanza . Viviamo purtroppo in tempi con la memoria corta. Cortissima. Il rappresentante del Ministero dei Beni Culturali di quella città è lo stesso che il 2002 si esprimeva pubblicamente, proprio per il caso in esame, contro il malvezzo degli “uffici pubblici abituati, … , a considerare i quadri, … , soprattutto come oggetti d’arredo per i saloni di rappresentanza “. Lascio a chi legge ogni altra considerazione sia su questa che su analoghe altre richieste in via di maturazione da parte di alti pubblici funzionari, riservo comunque a me questa: certamente, almeno loro non sono gentiluomini, napoletani.

Potenza 03/12/2007 Rocco VITA

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