Recensioni Critiche su BERNARDO BRUNO






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La Repubblica, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Quotidiano di Basilicata, Mondo Basilicata



RECENSIONI CRITICHE

ALFONSO BRENNA, MIRELLA CASAMASSIMA, GIANROCCO GUERRIERO, ANNAMARIA MONTEVERDI, RINO CARDONE, PIERO RAGONE, GIACINTO CERVIERE.


Emotional Landscape.

..In passato mi recavo con frequenza nei territori agrari a cavallo fra l’Alta Murgia e la Fossa Bradanica. Alla ricerca del silenzio assordante dei luoghi-non luoghi e dei casali abbandonati dell’exRiforma Fondiaria.
Il senso dell’abbandono, la corrosione dei segnali stradali arrugginiti divenivano per me segnali poetici da rivalutare. Colgo l’occasione di contribuire alla ricerca storica svolgendo un’analisi storico urbanistica sul territorio di Lavello(Pz) che diviene oggetto di studio per la mia tesi di laurea.
Molti miei dipinti tendono a mettere in relazione l’identità e la vocazione agraria, gli aspetti della storia del paesaggio rurale e la curiosità della scoperta sollecitando ad una lettura visiva che vada aldilà degli stereotipi…. ( Bernardo Bruno).

Dal 1997 Bernardo Bruno, architetto-artista, è Bernynavigator, pseudonimo che gli permette di riassumere in una parola la sua vocazione cartografica e topologica.
Perché la mappa è il suo luogo: mappa e metamappa, descrizione e racconto del territorio, censimento e narrazione, presa di possesso dello spazio ed emozioni sinestetiche, necessità di ..ridisegnare la geografia mentale dell’io…
Così Bernynavigator, già nei primi anni del 2000, con le sue chine e i suoi acquerelli, ridisegnava i percorsi labirintici dei suoi viaggi, reali ed immaginari, un walk-work in progress, un camminare osservando il paesaggio e i propri pensieri, un flaneur moderno, privo della sua centralità, che si perde nella complessità dei luoghi e delle mappe per conoscere e trovare se stesso.
 I suoi disegni sono metafore di luoghi mentali e reali, reti  e grovigli di esperienze in cui osservazione e dettaglio si fondono con visione e immaginario. La scrittura esatta si perde nel caos, nell’organico perché, come diceva Calvino, ..noi guardiamo il mondo precipitando dalla tromba delle scale..: occorre liberarsi dal groviglio dei luoghi e della storia subiti passivamente, contrapponendo loro la costruzione di un groviglio conoscitivo, il cui topos non è solo quello geografico, ma soprattutto quello del proprio io. Di qui l’immersione nel caos, nell’organico, ridisegnando la geografia mentale dell’io, asimmetrica, labirintica, organica, silicea e leggera.
..Si inizia dalla fine e la fine non ha mai inizio.. scrive infatti Bernardo, con la fluidità della sua penna, laddove la scrittura si fa immagine e viceversa, in uno scorrere lento, come un fiume in piena, in cui le parole si mescolano al disegno e ai colori del paesaggio, dei campi,  dei corsi di acqua, delle greggi che scorrono, appunto, lente, sulla via dei tratturi. Un paesaggio agrario, in orizzontale, dove i segni della storia- atti catastali, antiche planimetrie, fogli di agrimensori,  i documenti degli archivi storici, i monumenti architettonici, le masserie, elenchi di principi e proprietari, nomi di poste, si fondono con  leggerezza: ..Sistema pecora…Posta di Scarabattoli…Tratturellando…Il racconto di una pecora nera…Elogio dell’Agrimensura… Mitico viaggio sulle vie della transumanza… e così via.
 Perché la scrittura forse supera l’immagine e, come in un palinsesto, l’osservatore è invitato a leggere più che a vedere, scoprendo frasi e pensieri, a metà tra storia e immaginazione, tra descrizione e sensazioni, odori, suoni…Il suono organico dello zoccolo sul selciato…Iperstimolazioni sensoriali… Nuovi paesaggi emozionali…Noi siamo segni bidimensionali, antigeometrici..
Ecco la chiave di lettura: Uno scambio di informazioni orizzontali…Noi siamo segni bidimensionali, antigeometrici…  Ibrida genera ibrida.
Dal pensiero nomade al pensiero fluido, il viaggio di  Berny per ora si è fermato tra Palazzo San Gervasio e Barletta.
 Le 20 tavole raccontano la sua storia, mescolano ricordi, studi, viaggi, letture affetti: la sua tesi sul territorio di Lavello, l’agrimensura e il paesaggio agrario, Calvino e Kafka, Greenaway  e Wenders, Dubuffet e Mirò, Piranesi e Klee, i suoi genitori, i suoi amici.
Ma il pensiero fluido non si ferma. I racconti –mappe di Bernynavigator  si muovono verso sguardi nuovi , leggiamo infatti ..Smart city…Agrocities:  perché le sue  sono  psicogeografie che permettono non solo di offrire un excursus storico e architettonico, ma hanno in sé   riflessioni anche politiche e sociali  che guardano a necessità future del territorio, alla necessità di superare l’abbandono di un patrimonio culturale e paesaggistico.
Il surreale Berny, il “Pierrot Lunaire” lucano, da anni lavora con l’Ossevatorio Migranti Basilicata ad un progetto interregionale volto alla valorizzazione e riutilizzazione dei borghi rurali della Riforma Fondiaria degli anni ’50. Lungo le vie che fiancheggiano il Basentello, la piana di Venosa, il fiume Ofanto, tra la provincia di Potenza, Bat e Bari, sorgono tante costruzioni in pietra di borghi rurali edificati durante i piani di bonifica degli anni ’50. La loro ristrutturazione e il loro riutilizzo per i lavoratori stagionali comunitari e non, che abitano i luoghi per la raccolta del pomodoro, costituisce il principio primo del progetto Agrocities Social Housing, le città dell’abitare collettivo, architetture per l’emergenza, alberghi sociali, alloggi e strutture per l’inclusione sociale.
Possiamo allora vedere i disegni di Bernynavigator come parte di una narrazione collettiva di luoghi umanizzati ed emotivizzati. In qualche modo un ritorno della vita nella mappa, e della mappa nella vita. Segni che interagiscono con la storia dello sviluppo e delle proprietà, delle infrastrutture e del lavoro,segnalando anche le condizioni dei lavoratori, gli sviluppi delle abitazioni. Segni emersi da documenti economici, storici, letterari,artistici, architettonici, fotografici,filmici, per mostrare come siano cambiati il territorio e le condizioni di vita, ma inclusivi di storie, emozioni, colori,sensazioni, suoni, odori…pensieri critici per il cambiamento.

…Transumando le pecore giungono a  destinazione…Si inizia dalla fine e la fine non ha mai inizio….


     Maggio 2013                                                                                            Mirella Casamassima




L’ACCUMULAZIONE ESTETICA DI BERNARDO BRUNO

L’arte dell’accumulazione estetica appare un titolo appropriato, che potrebbe riassumere la ventennale opera di Bernardo Bruno. La sua origine di artista si è sempre incontrata/scontrata con la sua formazione di architetto. Arte e architettura hanno da sempre trovato cittadinanza nelle sue produzioni materiali e immateriali, grafiche e pittoriche, persino scultoree e cinematografiche. Il linguaggio espressivo non appare una sua preoccupazione, un suo interesse primario, sebbene abbia “abitato” tanti linguaggi dai suoi esordi, sebbene conosca le potenzialità e i limiti dei linguaggi.
Gli strumenti di accumulazione estetica per Bernardo Bruno sono i carnet di viaggio che scandiscono le sue traversate peninsulari: Napoli, la Calabria del mare, Ferrara, Firenze, Bologna… conosciute dentro e ai loro bordi, scorrendo su autostrade caotiche o su treni surriscaldati.
A Firenze mise a punto molti studi compositivi studenteschi, un’analisi minuziosa su ogni particolare della Cappella Pazzi di Filippo Brunelleschi; poi l’Arno e il Ponte Vecchio, lo Spedale degli Innocenti. Tutto era stato assimilato, infine rigurgitato sui suoi carnet e blocchi quadrettati. Il rigurgito aveva amalgamato tutto e trasformato quelle architetture in qualcos’altro.
Alcuni di questi schizzi e studi sono diventati nel tempo dipinti. Qui e là spaziano anche i volti femminili amati e desiderati, la loro grazia sofferente come donne angeliche al sole. Esiste anche un mondo zoomorfo che appare e riappare più volte tra le carte. Sono orsi, elefantini, scimmie e cavalli che di certo rimandano a filoni culturali storici e contemporanei, dalla Transavanguardia al cubismo, dall’Arte povera all’espressionismo più o meno astratto. Le sue frequentazioni sono molteplici e diverse per orientamento stilistico, e molto importanti nella sua formazione sono riferimenti locali che vanno da Linzalata a Luciano Montemurro, fino alla Scuola grafica del Circolo “La Scaletta” di Matera. Ma i suoi riferimenti locali accolgono anche una mappa di luoghi del Vulture e dell’Alto Bradano: dalla sua base spaziale Palazzo S. Gervasio a Genzano (Monteserico) dove sono stati girati alcuni cortometraggi negli anni ’90 utilizzati in installazioni video-artistiche. La tradizione iconica è amata e ironizzata ma sempre con il dovuto rispetto che Bruno rivolge ad ogni tradizione artistica. Ha studiato a lungo l’iconografia di santi come San Rocco: lui appestato, il suo cane e la sua “paroccola”. Non vuole che siano elementi equilibrati ma colpiti da atti imprevedibili e dissacranti: il cane può amare San Rocco ma il suo amore può essere così intenso da mordergli un polpaccio più che portargli del pane, un amore intenso che sfugge alla nostra consueta percezione delle cose. Bernardo Bruno è un artista dei risvolti spiazzanti. Nulla è uguale a prima, nulla può rimanere nel recinto della tradizione mistica, tutto può essere riscritto e farsi accarezzare dalla dolcezza di un’ironia irrefrenabile
Giacinto Cerviere 2008.

Sono essenzialmente tre, i filoni in cui si immerge la ricerca artistica di Bernardo Bruno, classe 1964, architetto, nato a Venosa e residente a Palazzo San Gervasio. E tutt’e tre convergono in un “punto”, come conviene ai percorsi esplorativi che nascono sotto l’egida della vera arte.
Dunque, c’è quello dei “Bernynavigator”, firmati “B.N.” in cui l’autore ritrae un “sé stesso” immaginifico avvalendosi di linee ovali essenziali, monocromatismi  forti, pennellate che paiono colare sulla tela come lacrime. C’è  molta ironia,  in questi “autoritratti” ispirati dal laboratorio sperimentale di un fumettista nipponico, Takaschi Murakamy, ma anche tanta forza espressiva che riesce a catturare lo sguardo dell’osservatore facendolo indugiare, in cerca di un significato.
Poi c’è il filone dedicato all’ “Urbanistika”, ove l’utilizzo dei colori acrilici su cartone telato ben si sposa con la visione dinamica e, per così dire, “vitalistica”  degli agglomerati  urbani che è propria dell’artista. Si tratta di mappe bidimensionali di rioni e di città che, lungi dal rivelarsi  asettiche carte topografiche, lasciano magicamente trasparire la “personalità” del centro urbano di volta in volta immaginato: gioie, sofferenze, delizie, incubi: il flusso delle automobili è una linfa di luce che porta ovunque il “nutrimento” dell’informazione, i rioni sono organi, le case tessuti. La città, in breve è un organismo. E Bernardo Bruno è il medico che la visita, ne ricava radiografie e diagnosi; e finanche esami autoptici, quando necessario.
In tale prospettiva, merita una menzione particolare l’opera intitolata “Spazio urbano fecondato”: in essa, una “zona verde” dall’evidente forma fallica, è fagocitata da una fitta regione urbana in cui alcuni degli isolati assomigliano a neuroni con tanto di sinapsi, mentre altri a spermatozoi che scuotono un lungo flagello: si tratta, appunto, della “vita” che Bruno intende iniettare in quelle geometrie di cemento ferro ed asfalto che tanto sconcertano la sua sensibilità
Infine, c’è la sezione dei “Bernynavigator Voyage”, che ha origine da una esperienza londinese dell’artista, a tal punto impressasi nella sua coscienza (e, forse, soprattutto nel sub-conscio)  da essere stata elaborata e reinterpretata nel corso del tempo fino a riuscire a restituire l’essenza più profonda di quei luoghi, di quel “modus vivendi” e di quella cultura. Il flusso vitale delle linee metropolitane, è in particolare al centro dell’attenzione del pittore, il quale è affascinato dai nodi e dalle maglie di quel groviglio di binari che, dietro un apparente caos, cela una logica che si può cogliere solo con strumenti sottili.
 E così arriviamo anche al dunque; ovvero al fulcro attorno  a cui, quantomeno a giudizio di chi scrive, gravita tutta l’opera di Bernardo Bruno: ovvero, la riduzione della rigidità della geometria metrica nella plasticità propria della topologia. Ecco, allora, come i mille ghirigori delle linee ferroviarie sotterranee trovano la loro linearità; e come gli spazi urbani riescono a trascendere la mera materialità dotandosi di un’ “anima”; ed infine come gli stessi tratti di un volto, del proprio volto, possono riemergere dopo aver attraversato un filtro che annulla proporzioni e forme e conduce agli archetipi stessi della rappresentazione figurativa.
Ma, tutto questo, Bernardo lo fa inconsapevolmente. Ed è giusto che sia così. Poiché, l’altra via cui accennavo, grazie alla quale è possibile estrarre un significato dal caotico fluire delle cose nello spazio e nel tempo, è proprio quella dell’arte.
E solo chi riesce a percorrerla senza cedimenti, può essere considerato un vero artista.
 Bernardo Bruno, di riconoscimenti, finora, ne ha avuti tanti. La sua continua ricerca, che si inoltra  nei territori più innovativi del settore, dalla grafica all’utilizzo della multimedialità, non potrà che procurargliene di sempre più gratificanti.

Gianrocco GUERRIERO 2006

 

BERNY, navigatore-architetto intimista


Fermenti d’arte contemporanea anche a Palazzo S. Gervasio

Nel variegato panorama artistico lucano abbiamo fatto un incontro singolare: un autore poliedrico, imprevedibile, dalle tante passioni, continuamente alle prese con stimoli e modalità proprie della contemporaneità. E’ Bernardo Bruno, un artista-architetto di Palazzo S. Gervasio, spesso in viaggio per l’Inghilterra, dove ha vissuto per qualche anno, lavorando da assistente, in quattro diversi studi di architettura tra Winchester, Southampton e Romsey. Lo abbiamo scoperto quale partecipante ad una rassegna di arte all’aperto, organizzata a Possidente dal locale circolo “Il Carpine”. E dai pochi pannelli esposti, la sua maniera inconsueta di praticare la pittura è stata subito evidente. Non tanto per gli smalti e gli oli utilizzati su truciolato e supporti telati, ma soprattutto per i soggetti, tanto semplici ed elementari, quanto complessi ed intricati. Tra un viso innocente di un bambino con cuffia e un caos di segni di una tavola astratta il nesso non è parso così esplicito. Con questa curiosità, alimentata dai lampi dei suoi occhi vispi e intelligenti che accompagnavano un inizio di conversazione, ci ha aperto il suo scrigno.
Bernardo Bruno è un artista a tutto campo, un po’ stravagante, un po’ a disagio, come tutti gli spiriti irriducibili e sensibili. I suoi filoni espressivi guardano in diverse direzioni e si avvalgono di idee e materiali propri del disegno e della grafica, della pittura e dell’installazione, senza escludere il video. Una sorta di pelle, di abito che lui indossa indifferentemente e alternativamente per tutta una serie di viaggi e progetti che si sviluppano e si intersecano istintivamente, infrangendo schemi e logiche. Accesi, eventualmente, da un nome, un ricordo, un frammento, a disposizione per un salto, una connessione ipertestuale, un link come quelli di internet. Al centro dei suoi interessi ci sono i luoghi e il territorio, ma anche la gente e la persona. Le sue esperienze professionali, le conoscenze tecniche, la formazione accademica si sovrappongono alla propria storia, al vissuto, alla sua fremente natura. Da qui nasce un’opportunità comunicativa che recupera la memoria, l’identità infantile, l’immaginario e lo miscela con le suggestioni ambientali; lo proietta nei contesti urbani, sociali, affettivi. Questa commistione ha generato Berny Navigator (un fantastico Bernardo viaggiatore) che si muove in “nuovi territori”, non solo geografici, fisici, ma “mentali” e nuronici. Fino alla prefigurazione, spesso illustrata, di un vero “mondo” che materializza il Berny-pensiero. La strada percorsa da Bruno il laureando, residente tra la Murgia e l’Alto Bradano, studioso della storia urbanistica di Lavello, poi diplomato a Napoli ed emigrato a Londra, è già lunga e tortuosa. Ha incontrato il fuoco del Vulture e del Vesuvio, in attesa di raggiungere un vulcano giapponese. Ha seguito i movimenti dell’acqua di Napoli, Bari, Torino, Londra, Bath, Barcellona, Cadice e Siviglia. Ha conosciuto i legami di terra tra Granada, Malaga, Matera, Venosa, Lavello e Palazzo S. Gervasio. Tutte tessere del mosaico di un vissuto che vanno ad incastrarsi con programmi e aspettative, a volte solo immaginati, come tappe di un “percorso intimistico” in progress. Nulla di definitivo, quindi. Solo appunti, note, immagini, che dal 1989 si vanno allineando nelle esposizioni personali e collettive tenute a S. Arcangelo, a Oriolo, Tramutola, Venosa, Napoli, Melfi, Bari, Gran Bretagna, Verbania, Marsico Nuovo, Rionero, oltre che a Palazzo. Il progetto di navigazione concepito negli anni’90, sulla spinta dialettica città-campagna, ha assunto nuovo carattere e vigore con le passioni per il cinema di Wim Wenders e Peter Greenway, con le visioni dei video di Bill Viola, con le simpatie per il “bad painting”, l’espressionismo astratto, la New Pop Generation nipponica.
Bernardo Bruno, quarantenne - con la sua idea di arte “come gioco, piacere, racconto…come antitesi ad una società divenuta moralmente svagata e spezzettata; una società frantumata nella quale raramente ben ci si intende… per indifferenza ed assenteismo” - continua a documentare e ad esprimersi, a denunciare e a stupire. Tuttavia, è cosciente del lavoro complesso e misterioso che accompagna la sua ricerca. Conosce i dubbi e i limiti, ma anche la forza e il potenziale, di quel mondo parallelo, ibrido e senza eguali, fatto di idee che diventano, di volta in volta, immagini elettoniche, strisce di fumetto, personaggi o scenari dalle trame intriganti e iperveloci. Un mondo in bilico, inquietante, in osservazione da anni, in attesa di capire quale posto ha riservato ai sentimenti.
Per colmare il buco regionale di spazi, soprattutto privati, destinati “”all’osservazione e alla comprensione…di questo mondo ermetico..” , (quello dell’arte contemporanea), Bernardo Bruno si è dovuto inventare una sua “Garage Gallery”. L’ha inaugurata nel 2003 in rione Boreale, 14 a Palazzo, per concretizzare un luogo, uno spazio-laboratorio da destinare alla realizzazione di opere contemporanee, non solo sue. Con lo spirito giocoso e autoironico che lo contraddistingue, Berny ha progettato filmati, mostre, installazioni, (tra le altre “Ridotto trittico di mare”, “Natalità elettronica”, “Lo sguardo infranto del video”) che ha portato in giro e che gli sono valsi apprezzamenti e interesse della critica. Un campo di indagine che costa fatica, il suo e di non facile circuitazione a livello regionale. In attesa che qualcosa si muova, che altri suoi colleghi lucani facciano sentire la propria voce, Bernardo, a scanso di equivoci, ha preferito “isolare” il suo doppio, aprendo uno studio di architettura e progettazione in corso Manfredi, 86. Chissà come farà a “dominare” la sua “estrosa visione” davanti a piante e prospetti?.
Piero Ragone dic. 2004



BERNYNAVIGATOR VOYAGE


Da Palazzo San Gervasio , una città lucana cara alla Wertmuller dei “Basilischi”, Bernardo , alias Bernynavigator, intraprende il suo viaggio, prima, verso Napoli facoltà di Architettura, poi Londra, sognando, ora, Tokyo I hope to go to Tokyo...
Bernynavigator, architetto-artista, e il viaggio: immaginario, tema metaforico del mondo immaginario, tema esplorativo dell’inconscio, da “Le bateau ivre” di Rimbaud all’ ” On the road “ di Kerouac.
Bernardo viviseziona la planimetria di Londra e ne percorre la city e la zona est, lungo il Tamigi, si ferma e disegna, quartieri, angoli, squarci, visti dall’alto, appiattiti sulla bidimensionalità del foglio. Ne nascono frammenti, reti di segni, mappe e labirinti...la perdita dell’io, la calata nel mare dell’oggettività indifferenziata...il punto di vista è quello del magma ...(I.Calvino), smarrimento, naufragio, magma.
Da questa condizione labirintica emergono i “mostri”, i personaggi fantastici di bernardo, ricordandoil Paris-circus di Dubuffet.
La scrittura trasforma i luoghi in occhi, volti, attori visionari dell’immaginazione; le strade, le piazze empaticamente assumono i nomi del proprio vissuto, Yuki house, yuki bridge, Happy estate..., e dovunque traspare il sogno di Bernynavigator: prossima tappa organismo Giappone-Tokyo.
La mappa diventa così catalogo o enciclopedia del possibile, tentativo di liberarsi dal groviglio dei fatti e luoghi subiti passivament, contrapponendo loro la costruzione di un groviglio conoscitivo in cui il topos non è solo quello geografico, ma soprattutto quello del proprio io.
Lo sguardo, il punto di vista azimutale è determinante:..noi guardiamo il mondo precipitando dalla tromba delle scale..(I.Calvino) ovvero l’immersione nel caos, l’organico, ridisegnando così la geografia mentale dell’io, asimmetrica, labirintica, organica, silicea e leggera.
Dal “Bernynavigator voyage”, allora, emerge una vocazione cartografica e topologica che obbedisce, però, a due tipo di conoscenza: questa che si muove in uno spazio gremito di organismi, fantastico e speculare dell’ incoscio; l’altra, la scrittura fotografica di Bernardo, che si muove nello spazio mentale di una razionalità scorporata e fatta di linee e geometrie architettoniche.
Le fotografie dei luoghi londinesi, i ponti, edifici periferici, metro, stazioni, indagano la nuova architettura inglese, dei five architects: Terry Farrel, Nicholas Grimshaw, Sir Norman Foster, Sir Michael Hopkins e Lord Richard Rogers. Qui si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze; si fa ordine al caos. Un atlante mentale guidato da una volontà costruttiva.
Ma ambedue gli atlanti coesistono, le mappe dialogano, la città-frammento avvolge il pubblico...buon viaggio.
MIRELLA CASAMASSIMA 15-02-03



TRANSITI (QUANDO IL VIDEO SI FA ZEN)

La visione non è più la possibilità di vedere

ma l’impossibilità di vedere”.
Gary Hill

Ridotto: agg., p. Passato di ridurre, dal latino reductus, condotto in una determinata condizione, diversa da quella di prima.
Riduzione: dal latino reductio, l’azione, l’operazione di ricondurre, di ricollegare o far tornare al luogo o al posto proprio normale.

La peculiarità dell’opera video “Ridotto trittico di mare” sta nella sua totale appartenenza alla categoria del visuale: di più, all’ordine del sentire-percepire; il video, come fosse una disciplina biologica, si genera dall’esplorazione interstiziale degli oggetti di natura, dall’indagine fenomenologica dei processi naturali: l’occhio del video si ferma 8in movimento) a cogliere una traccia di vita, ad esplorare l’invisibile processo di trasformazione in cui gli oggetti si modificano non percepiti, ad ogni istante ( il loro divenire forma visibile-il loro trasformarsi in forme di senso).
E’ lo sguardo a riconoscere una forma levigata dal mare, restituita alla riva a cui è stato portato via-esattamente come accade nel video-tutto ciò che è superfluo, ridotto, appunto, all’essenziale, alla sola evidenza di vita.
L’esperienza della visione è vissuta attraverso minimali percorsi percettivi di grane e filigrane visive e semplici tessiture sonore aventi capacità di riverbero all’infinito; ascoltare quelle minime variazioni per un tempo prolungato ci trasporta in uno stato meditativo, ci guida verso inediti percorsi del sentire, una volta abbandonato il sentiero delle sensazioni guidate.
Le forme della natura, dapprima appena percepibili, poi riconosciute come familiari, vengono esaltate dalla lunghezza della ripresa, nel fermo immagine del frammento e nello stesso tempo costrette in un contesto di scatole multiple e concentriche, scomposte in schermi e specchi.
Bruno dipinge con la luce, le onde (ma quali, quelle elettromagnetiche, quelle sonore, o quelle di natura ?) sono spruzzi di vernice industriale, sgocciolature vigorose, colate di colore a cui è stato aggiunto un ritmo: lo strobe, infatti, è il loro respiro. Il video è un collage di singoli pannelli pittorici, un amalgama di effetti di ombre e chiazze luminose. Il punto su cui si poggia il pennello (elettronico) si fa pixel, geometria di luce e colori di una pittura analogico-divisionista che indaga i campi del vedere (una forma) e dello scomporre (ridurre, ancora).
L’immagine e i suoi numerosi doppi (elettronici) sono messi in cornici progressive di cui i monitor diventano stroboscopici punti di fuga all’infinito; lo schermo è esplosione di luce, luogo di stuccature e tela ingombra di impasti e intarsi artificiali; mentre il tempo (dell’evento e della visione) è dilatazione di durata che rompe ogni attesa del senso.
Tutto transita e scorre dinanzi allo sguardo senza lasciar traccia o residuo di sè se non come fragile memoriavisiva: un punto luce nero-video.
ANNAMARIA MONTEVERDI 16-10-97



Si colgono gli echi dell’action painting e dell’art brut nella pittura di Bernardo Bruno. Egli ha un approccio totale con l’arte: non mediato dalla tecnica, ma altamente partecipato. E’ convinto insomma di quel che fa e perchè lo fa. Il suo ruolo non è improvvisato. Quando oltre un anno fa volle farmi vedere i suoi lavori notai in lui una vitalità estrema.
Una sensazione che confermo a distanza di tempo rafforzata dalla consapevolezza che la sua ricerca progettuale darà prima o poi i suoi frutti. Si tratta di attendere. Possiamo sperare. Dietro quel suo segno nervoso, quella pittura luministicamente dissonante, si nasconde un artista volitivo e romantico.
La sua forza sta in quella congerie di segni, in quel linguaggio convulso e espressivo attraverso cui lancia i suoi messaggi creativi. Ci dice così di un mondo carico di contraddizioni e dove pur tuttavia c’è spazio per le “visioni interiori” dell’uomo.
Il futuro artistico di bernardo bruno si gioca su una serie di scelte. Fatta salva la presente nerbosità polisemica, egli dovrà decidere tra le numerose opzioni di colore quale fa più al caso suo: privilegiando ai toni solari le tinte brumose e evanescenti che meglio si addicono alla sua natura metropolitana. In ogni caso non dovrà mai cadere il livello segnico attuale. All’artista sarà solo consentito eventualmente di diradarlo dentro partiture cromatiche improntate sulla simmetria dei piani e su una serie di provocatorie dissimetrie prospettiche. Una linea di tendenza che per la verità già segue. Si tratta solo di far crescere la qualità dell’esecuzione che quando sarà al passo con la tensione ideativo-progettuale ci mostrerà un artista più maturo e consapevole. E’ inoltre ammirevole il suo interesse per le “istallazioni” che gli consentono diversi generi di “contaminazione” espressiva. Niente di meglio per chi come lui ama il trasgressivo e l’illusorio.
RINO CARDONE 20-6-95



Si potrebbe iniziare con una sentenza di Gide: “Non vi sono problemi di cui l’opera d’arte non sia una soluzione sufficiente”. Questo, se non altro, dovrebbe almeno indurci a riflettere sui pericoli insiti in ogni esegesi, allorché ci si impunti su posizioni manichee, più o meno palesate, soprattutto nella definizione di ciò che si può e ciò che non si può fare, ovvero (che è lo stesso), su ciò che è o non è lecito in arte. E non è chi non veda come, in realtà, già le neo-avanguardie abbiano chiarito i termini del problema attuando, nella prassi, l’opposto esatto di ogni pregiudiziale e preclusione teorica, avvalendosi di tutti i gradi di libertà che l’iterazione tra tecniche e tecnologie consentiva.
La contaminazione del pensiero è dell’uomo, ma quando essa assurge a consapevolezza critica, a deliberata confutazione e ri-costruzione ciclica diventa “ethos” metodologico della ricerca. Questo genere di aperta disponibilità è, per B. Bruno, fine e mezzo di tutto l’iter creativo.
Uno sguardo, anche sommario, alla copiosa produzione dell’artista dà subito il senso dell’ ”animus” onnivoro che l’alimenta e che s’invera negli accesi ritmi dei toni e delle forme, nei pieni e nei vuoti “prospettici” con cui Bruno tratta il piano disponibile della tela.
Disponibile appunto, non limitativo delle valenze semantiche d’una figurazione non euclidea che si avvale della materia pittorica e del segno come di “medium” in grado di rendere le sottili vibrazioni d’una non comune sensibilità.
Il “corpus” dell’opera così dispiegato, sembra l’effemeride di una intera esistenza di cui si è data e si dà puntuale e fulgida testimonianza.
La materia come “medium” dicevamo. Essa, in Bruno, è presente, per così dire, in sordina: non ha spessore nè peso (eccetto pochi casi), c’è solo l’indispensabile, il pigmento, la patina: fraseggio parco, quasi subliminale.
Va da sè che resti il “segno” (quasi simulacro), traccia “soft”, “parola” discreta.
E’ tutta quì la peculiarità: persa la gravità tutto si fa indizio, possibilità, potenzialità, intrigante e fabulosa levità. Le “parole” di Bruno perciò non danno sillogismi nè escatologie: c’è solo il discorso in sè che si svela ma non rivela, che dice ma non predice (e chi non condividerebbe, oggi, il “Non chiederci la parola...di montaltiana memoria?).
Questo procedere, per dir così, in punta di piedi è testimoniato anche da una spiccata predilezione per certo grafismo nervoso, veloce, minuzioso, intricato ma sempre deciso e preciso, che però non giunge mai ad irrigimentarsi o a reiterarsi; piuttosto scorre e s’attorciglia, quasi a voler registrare il “qui-ora” d’un continuo esistenziale (e qui il riferimento è alla pittura d’azione).
Si potrebbe chiudere, per simmetria, con B. Pascal: “Il cuore (l’arte?), ha le sue ragioni, che la ragione non comprende affatto...”
La narrazione serrata, senza stasi o tautologie che, sin dagli esordi, Bruno conduce alacremente, è per noi oggi come l’epifania d’un avventura umana che ci emoziona sempre, ad ogni traccia di colore.
Alfonso Brenna



ARTICOLI
"Nella Galleria K2 l'Arte si fonde alla Creatività.."2-Marzia Morva in Città- anno XVI n°10 Ottobre 2012
“Un blog contro il silenzio”- Armando Lostaglio 17-01-07 La Nuova
“Berny-navigatore Architetto intimista”-mondo Basilicata
“La sintesi di Bruno”-Michele Chisena- Il Quotidiano della Basilicata
“Bernardo Bruno e la sua Garage Gallery”- Michele Chisena-Mercoledì 15-01-03 Il Quotidiano della Basilicata
“ A Palazzo in onda The Garage Gallery”- Celeste Corrado- Martedì 7-01-03 La Gazzetta del Mezzogiorno
“In viaggio tra le città di carta con Bruno, il Bernynavigator” -Maria Paola Porcelli- 28-02-03 La Gazzetta del Mezzogiorno
“ La Londra di Bruno”- Venerdì 28-02-03 La Repubblica
“S.Antonio a Palazzo e Muro” –Venerdi’ 13-06-03 La Gazzetta del Mezzogiorno
“Un video per rivivere la natività”- 22-12-03 Il Quotidiano della Basilicata
“ Natività elettronica. La videoart reinventa Betlemme”- 26-12-03 La Gazzetta del Mezzogiorno


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